6 Novembre 2024

Video Economia mista e proprietà partecipata dei lavoratori nel contesto nazionale (Argentina) ed internazionale

Riportiamo la traduzione di un discorso che tratta l’Economia Mista e tutto il tema della proprietà partecipata dei lavoratori.    Mi sembra  interessante perché questo discorso viene fatto a partire dal contesto nazionale dell’Argentina e del Latino America, che dopo avere vissuto sulla propria pelle le conseguenze  dell’applicazione del neo-liberalismo, dell’Austerity (e delle altre stregonerie pseudo-economiche), ha voltato pagina.   Il relatore è Gulliermo Sullings , economista, membro del Partito Umanista,  che a partire da una visione politica e sociale umanista, guarda all’economia come ad una tecnica per migliorare le condizioni di vita di tutta la popolazione…

Partito Umanista – La Pampa (Argentina), 24 agosto 2012

 

Aggiornamento post del 7 Novembre 2012 ( aggiunto video)

Nell’ambito della formazione politica promossa dalla Segreteria Formazione Politica del Partito Umanista del distretto La Pampa, venerdì 24 agosto 2012 si è tenuto il primo incontro del 2012 alla presenza del dott. Guillermo Sullings*. Di seguito si trova il testo completo della conferenza.

 

Economia mista e proprietà partecipata dei lavoratori nel contesto nazionale e internazionale

Presentazione generale
Affinché questa presentazione, in una materia complessa come l’economia, non si estenda oltre i tempi previsti, cercheremo di sviluppare i temi in generale, per cercare di avvicinarci a una comprensione integrale della problematica, quindi approfondiremo alcuni aspetti che ci sembrano importanti per l’azione specifica. In ogni caso citeremo e metteremo a disposizione alcuni materiali come allegati a questa chiacchierata, che serviranno ad approfondire diversi argomenti.
Inizieremo quindi commentando il panorama generale dell’economia mondiale, cercando di capire le radici della crisi; quindi spiegheremo la necessità di avere un nuovo sistema economico alternativo come istanza che superi il capitalismo. Analizzeremo inoltre il caso particolare della nostra regione in generale e dell’Argentina in particolare, per cercare infine di orientarci su ciò che si potrebbe fare nel nostro paese per progredire verso un’Economia Mista.

Le radici profonde della crisi mondiale
Spesso si sente parlare o si legge delle cause di questa crisi mondiale, iniziata alla fine del 2007 con epicentro negli USA, che ancora non si stanno riprendendo dalla stessa, e che oggi tiene in bilico tutta l’Europa. Si parla molto delle bolle speculative, dell’irresponsabilità dei banchieri e di molti governanti, e uno dei dibattiti principali verte sul fatto che l’uscita dalla crisi avverrà attraverso l’ortodossia degli aggiustamenti o attraverso politiche che promuovano la crescita. Ma raramente si sente sottoporre a giudizio lo stesso sistema capitalista: nel migliore dei casi si dice che la speculazione finanziaria che ha generato la bolla e ha causato la crisi è una deviazione o una malformazione del sistema capitalista, ma secondo noi tale speculazione finanziaria non è altro che un sottoprodotto dello stesso sistema capitalista. Perché è proprio la matrice distributiva del capitalismo che porta all’accumulo di ricchezza in poche mani, e alla conseguente generazione di eccessi finanziari che cercano una redditività maggiore di quella del sistema produttivo, alimentando così la speculazione finanziaria; e questo porta all’accumulo di potere nella Banca. Un potere che negli ultimi decenni è andato disciplinando il potere politico, facendo in modo che i governi prendessero decisioni tendenti esattamente ad accelerare il processo di concentrazione della ricchezza, in un circolo vizioso che ha accelerato il collasso. Potere che negli ultimi tempi neanche si maschera, e si rende evidente, sia che guardiamo le risorse destinate dai governi al salvataggio delle banche, sia quando vediamo chi sono quelli che davvero prendono le decisioni di fronte alla crisi europea, o che assumono direttamente il governo, come nel caso dell’Italia.
Quel capitalismo, che dopo la seconda guerra mondiale, sembrava effettuare una riabilitazione rispetto alla matrice distributiva, incoraggiando le politiche keynesiane e lo stato di benessere, a partire dagli anni ’80 approfittò delle debolezze dei modelli statisti per fare risorgere la sua vera natura attraverso il neoliberismo. Mediante il processo di globalizzazione, le multinazionali hanno spostato le diverse fasi produttive verso paesi a basso costo del lavoro e grande flessibilità nel mercato del lavoro. La distribuzione del reddito a favore dei guadagni imprenditoriali e a detrimento dei salari ha aumentato il divario, e il modo trovato per mantenere i livelli di consumo delle popolazioni è stato il credito; questo ha generato l’indebitamento sempre maggiore delle persone, delle società e dei governi, e il conseguente arricchimento della Banca.
Questo acuirsi nell’ineguaglianza della distribuzione del salario, e l’aumento del consumismo irrazionale mediante il credito usuraio non hanno fatto altro che alimentare le bolle successive, che scoppiando rivelavano l’impossibilità del sistema, che tornava solo a coprirsi temporaneamente con un’altra bolla più grande, fino a quando è scoppiata l’ultima. E continuerà così, fintanto che non si risolverà la radice ultima del problema, che è la matrice distributiva regressiva, intrinseca nel sistema capitalista. Quindi, non si risolveranno le crisi con aggiustamenti che impoveriscono ulteriormente le popolazioni; ma non saranno sufficienti neanche le ricette keynesiane applicate dagli stati più progressisti, perché risulteranno completamente insufficienti per invertire il piano inclinato della dinamica capitalista, che concentra le risorse in un numero sempre minore di mani.
È chiaro che le buone intenzioni di molti governi progressisti, soprattutto in America Latina, favoriscono l’avvicinamento politico con l’Umanesimo. Ma sarebbe anche utile avere chiaro che è necessario fare un vero salto qualitativo in materia economica, politica e culturale, per poter uscire dalla corsa verso l’abisso degli attuali avvenimenti mondiali. E in materia economica non sarà all’interno della logica del capitalismo attuale che si potrà fare un salto per uscirne.

L’opportunità latinoamericana
In uno degli allegati a questa chiacchierata trascrivo la relazione che ho presentato nell’ambito del Seminario Internazionale tenutosi un anno fa a Santiago del Cile, con il titolo “Sovranità e integrazione in tempi di emergenza”. Tale seminario era basato sulle proposte di una Nuova Architettura Finanziaria per l’America Latina, aspirazione della maggior parte dei paesi dell’UNASUR, e particolarmente spinta in quei giorni dal dr. Pedro Páez Pérez, rappresentante del governo ecuadoriano. La maggior parte dei relatori era d’accordo sulla necessità di progredire verso una maggiore integrazione latinoamericana, concretizzando e potenziando strumenti come una Banca Regionale dello Sviluppo, un Fondo Regionale e una moneta comune per le transazioni regionali. Sebbene si stia già procedendo in tale direzione, alcuni paesi della regione hanno rimandato troppo le decisioni relative all’approfondimento di questo processo, e l’urgenza dell’epoca richiede una maggiore celerità. Contare su una maggiore autonomia regionale, per finanziare lo sviluppo senza dipendere dai flussi di capitali speculativi, dovrebbe diventare una priorità.
Oggi l’America del Sud si trova in una situazione assolutamente favorevole, tanto in campo politico quanto in quello economico, per potere guidare un processo di trasformazione delle strutture economiche e finanziarie e fare il salto di qualità di cui ha bisogno il mondo per superare il sistema capitalista. Nella nostra regione oggi è passato in secondo piano il problema del debito estero, rispetto alla criticità di tale flagello per i paesi del cosiddetto primo mondo. Oggi la nostra regione conta su una situazione di prezzi relativi enormemente favorevole e dispone del potenziale per moltiplicare la sua produzione. Soprattutto, oggi la nostra regione conta su governi che vogliono progredire verso la sovranità e la giustizia sociale, e sono disposti a mettere in moto un processo di trasformazione. In altre parole, la nostra regione ha un’enorme opportunità, ma sarà anche necessario chiarire la direzione, per evitare di restare impantanati in un riformismo che non riesce a superare il sistema che oggi segna il passo dell’economia mondiale.
Ciò che abbiamo cercato di trasmettere in quel seminario è stato che, oltre a progredire verso la nuova Architettura Finanziaria Regionale, bisognerebbe progredire verso una nuova matrice distributiva e verso un cambiamento culturale. Perché, quale sarebbe il senso di avere risorse finanziarie proprie per finanziare lo sviluppo, se tali risorse si canalizzano nella tendenza consumista delle popolazioni, con una matrice distributiva per cui le risorse finiscono per concentrarsi nelle mani di pochi? Si tratta esattamente della limitazione di oggi delle politiche neokeynesiane, con cui i governi progressisti cercano di potenziare la crescita e migliorare la distribuzione del reddito. La spesa pubblica che direttamente o indirettamente va in salari, finisce per diluirsi in un circuito di consumo di beni e servizi nel cui prezzo è sempre minore la partecipazione del salario e maggiore quella del reddito del capitale. Pertanto, lo Stato deve spendere sempre di più per mantenere il livello di attività e le entrate dei salariati dipendenti da tale spesa. Ma per spendere di più dovrebbe aumentare la pressione fiscale sui settori sempre più ridotti che concentrano le entrate, con le difficoltà politiche e legali che questo comporta. E un’altra limitazione per coloro che vogliano migliorare la situazione dei svantaggiati, ma senza modificare sensibilmente la matrice distributiva, è che sarebbe impossibile mediante la crescita del PIL, sollevare tutta la piramide di entrate fino a che la parte più bassa abbia una buona qualità della vita, poiché molto prima di questo collasserebbe la fornitura di molti consumi, e ancora prima aumenterebbero i prezzi, neutralizzando qualsiasi miglioramento nelle entrate di tali settori.
Quindi, per modificare la matrice distributiva in modo sostenibile, è necessario fare un passo per volta, non solo per una questione di fattibilità politica, ma anche per la ridefinizione necessaria nel sistema produttivo e il cambiamento culturale che tutto questo comporta. Ma bisognerebbe avere chiaro quali passi ci fanno progredire davvero verso tale meta, e quali passi ci fanno tornare al punto di partenza.

La situazione in Argentina
In un altro allegato a complemento di questa chiacchierata, il rapporto presentato alla Comitato per l’Economia tenutosi al Consiglio Municipale di San Paolo, Brasile l’11/06/2010, si citano dati statistici sulla distribuzione del reddito e la ricchezza pubblicati in uno studio dell’ONU, in cui si cita, tra le altre cose, che solo il 10% della popolazione mondiale concentra l’85% della ricchezza, e il 2% concentra il 50%, che illustrano la sempre maggiore concentrazione della ricchezza. Nel caso dell’Argentina, al di là di chi faccia le statistiche, negli ultimi anni si è progrediti abbastanza da questo punto di vista, soprattutto dall’implementazione dell’Assegnazione Universale per figlio, che ha portato la relazione tra il decimo (10%) della popolazione che guadagna di più e quello che guadagna di meno a sole 15 volte, una relazione che, sebbene continui ad essere inferiore a quella dei paesi con maggiore indice di Sviluppo Umano, è il migliore indicatore della regione. Nella tabella di seguito si analizza l’evoluzione di queste relazioni secondo i dati dell’INDEC (informazioni non messe tanto in discussione come quella dell’indice dei prezzi), riferiti a redditi familiari totali.

 

Gruppo

Percentuale entrate per decimi

Decimo

1994

2003

2006

2009

2012

1

1,6

1,3

1,5

1,6

1,9

2

2,8

2,4

2,8

3,1

3,4

3

4

3,6

3,9

4,3

4,6

4

5,1

4,7

5,1

5,5

5,8

5

6,5

6

6,4

6,9

7,1

6

8

7,5

8

8,5

8,6

7

9,8

9,4

10

10,5

10,5

8

12,4

12,3

12,8

13,1

13,1

9

16,7

17,3

17,3

17,1

16,8

10

32,7

35,6

32,1

29,4

28,3

EVOLUZIONE RELATIVA PER DECIMO

2006/2003

2009/2006

2012/2009

2012/2006

1,15

1,07

1,19

1,27

1,17

1,11

1,1

1,21

1,08

1,1

1,07

1,18

1,09

1,08

1,05

1,14

1,07

1,08

1,03

1,11

1,07

1,06

1,01

1,08

1,06

1,05

1

1,05

1,04

1,02

1

1,02

1

0,99

0,98

0,97

0,9

0,92

0,96

0,88

 

Possiamo osservare che, sebbene nel 2006 ci sia stato un progresso rispetto al 2003, questo ha significato più che altro un recupero, dopo la crisi, per tornare ai livelli del 1994. Ma dal 2006 si continua a proseguire nel miglioramento della distribuzione del reddito e, soprattutto se confrontiamo il 2012 con il 2009, si genera un miglioramento importante nelle prime tre decine, come effetto dell’Assegnazione Universale per Figlio. Tuttavia, se guardiamo in valori assoluti a quale reddito medio attuale ci stiamo riferendo per ogni decimo, è evidente che più del 40% della popolazione ha problemi con il budget familiare. Vediamo inoltre che la distribuzione del reddito è ancora molto lontana dalla situazione ideale. È quindi possibile supporre che sia tutta una questione di tempo, e che a poco a poco si potrà continuare a progredire; ma qui vogliamo mostrare le limitazioni che trova il modello keynesiano, che è servito a migliorare la situazione generata dal modello neoliberale, ma è insufficiente per generare un vero salto qualitativo nella distribuzione del reddito.
Se uno dei fattori nel miglioramento della distribuzione del reddito è stata l’assegnazione universale, dobbiamo dire che oggi significa un grande sforzo di budget, e difficilmente possiamo immaginare che si potrebbe, con lo schema tributario attuale, moltiplicare per 3 o 4 volte tale sforzo per portare i decimi più bassi a un livello di reddito che li tolga dalla povertà. Inoltre, se questo si dovesse fare con una politica di sussidi, sarebbe ancora più evidente che il sistema economico in sé è incapace di risolvere l’inuguaglianza. Un altro fattore di miglioramento nella distribuzione del reddito in questi anni è stato il recupero dell’occupazione, ma questa risorsa naturalmente si esaurisce, nella misura in cui ci avviciniamo a tassi di disoccupazione ridotti. Si potrebbe pensare che un nuovo fattore di miglioramento nella distribuzione potrebbe essere l’emersione del lavoro nero, ma se teniamo in considerazione il fatto che in tutti questi anni la percentuale non è molto variata, ci troviamo di fronte a un problema strutturale molto difficile, collegato non solo a una questione culturale, ma soprattutto al crescente deterioramento nella competitività di molte piccole e medie imprese, che possono sopravvivere solo nell’informalità.
Naturalmente non siamo per niente d’accordo con i detrattori del governo, che dicono che “il modello è esaurito”, volendo dire che tutto è stato fatto male e che sopravverrà una catastrofe. Non siamo d’accordo soprattutto quando da quell’opposizione si sono difese le politiche neoliberiste. Stiamo dicendo che è proprio il sistema capitalista, sebbene nella sua versione più accettabile, quella del modello keynesiano, quello che è esaurito e non ci consente di andare al di là di tutto quanto di buono sia già stato fatto.

Le proposte
Neanche qui abbonderemo in dettagli, poiché per questo esistono il libro su Economia Mista e alcune proposte più aggiornate che si trovano negli allegati; soprattutto in riferimento a “Sviluppo locale e politiche pubbliche”, rapporto presentato all’Università Nazionale Autonoma di Costa Rica nel 2009, in cui si trattano le proposte per i diversi livelli. Ma cercheremo di citare alcuni punti che ci sembrano importanti.
Progredire verso un sistema di Economia Mista non significa che lo Stato si trasforma in imprenditore, ma neanche che stia fermo in attesa che il settore privato e le forze del mercato generino lavoro genuino con una distribuzione del reddito equa. E sebbene esistano già settori in cui lo Stato e il settore privato lavorano insieme per potenziare lo sviluppo, sarà necessario progredire verso un sistema più integrale, in cui tutti gli attori dell’economia possano coordinarsi verso uno sviluppo sostenibile ed equo, che dia priorità alle necessità prima che al consumismo. Da questa integrazione coordinata si potranno correggere le due variabili più importanti per modificare la matrice distributiva del capitalismo: la partecipazione dei lavoratori ai guadagni e il potenziamento delle PMI, liberandole dalla loro dipendenza dai monopoli e oligopoli che oggi governano i mercati. Tale integrazione, che nella pratica si realizzerà nei livelli locali, dovrà contare su un inquadramento adeguato delle politiche nazionali e locali.

Politiche nazionali

  • Politica tributaria che aumenti le imposte sui guadagni imprenditoriali in tasse crescenti, con destinazione a un fondo per lo sviluppo; riducendo il carico per i guadagni che le società reinvestano in progetti di sviluppo locale.
  • Incremento della partecipazione dei comuni al budget nazionale, incorporando partite specifiche per la promozione dello sviluppo locale.
  • Politica lavorativa e societaria che consenta la partecipazione dei lavoratori ai guadagni delle società e flessibilizzi l’associazione tra società.
  • Creazione di una Banca Statale che conceda prestiti senza interessi per il finanziamento di progetti produttivi vincolati allo sviluppo locale.
  • Politica di commercio estero che dia priorità alla generazione di condizioni di mercato per la sostenibilità dei progetti di sviluppo locale.

Politiche locali

  • Implementazione dei budget partecipativi, applicando una partita specifica per progetti di sviluppo locale, dando priorità ai progetti che generano maggiore quantità di posti di lavoro regolari e con la concezione di sviluppo umano. Definendo regole chiare di controllo dell’applicazione dei fondi, in funzione degli obiettivi enunciati.
  • Coordinamento con università, istituti tecnologici, scuole e sindacati, per implementare la formazione adeguata tanto dei lavoratori quanto dei quadri tecnici, professionali e imprenditoriali.
  • Creazione di un comitato per lo sviluppo locale, formato da rappresentanti dei lavoratori, disoccupati, imprenditori, università e governo. Tale comitato non deve essere una superstruttura divisa, ma un gruppo di lavoro che consenta di accelerare la sinergia tra i diversi settori e pianifichi le iniziative per lo sviluppo locale.
  • Creare ponti di integrazione e interscambio con altri comuni della regione, con altre regioni e con altri paesi, in modo da incorporare adeguatamente le variabili esogene all’interno dei progetti di sviluppo locale.

Funzionamento del Comitato per lo sviluppo locale
Il Comitato deve funzionare principalmente come un generatore di progetti, un attivatore degli stessi attraverso i diversi settori rappresentati e fondamentalmente un ambito in cui si producano le sinapsi necessarie per sviluppare il tessuto produttivo dello sviluppo locale. E da qui dovranno nascere e potenziarsi società in cui i lavoratori possano accedere alla partecipazione ai guadagni e alla proprietà.
Nel grafico di seguito cerchiamo di illustrare le interrelazioni esistenti tra i diversi settori, e l’incrocio sinergico che si dovrebbe generare nell’ambito del Comitato.

 

Quindi le relazioni che si possono creare sono molte, in funzione delle diverse necessità che potranno nascere, nella misura in cui progrediscono i progetti. Ma possiamo fare alcuni esempi delle attività che dovrebbero passare per tale Comitato.

  • Analizzare le potenzialità della regione per quanto riguarda risorse umane, naturali, capitale collocato e infrastruttura. Indagare in quali aree è possibile aumentare la produzione e in quali altre è possibile avviare nuovi processi produttivi.
  • Analizzare la possibilità di inserire anelli nelle catene di valore dei processi produttivi vigenti nell’ambito locale o regionale. Studiare la potenzialità del mercato locale, nazionale e internazionale, per i beni e i servizi che si possano generare.
  • Selezionare i progetti che si considerano fattibili, considerando la possibilità di autofinanziamento locale da parte del settore imprenditoriale e la possibilità di finanziamento statale per gli investimenti da realizzare.
  • Attivare la formazione tecnica di tutti i livelli coinvolti nel progetto, includendo la formazione dei futuri lavoratori nella gestione condivisa.
  • Organizzare l’avviamento del progetto per fasi, in modo da consentire di valutare il rispetto di ogni fase ed effettuare le correzioni necessarie.
  • Raccogliere l’esperienza delle parti coinvolte in ogni progetto attivo, per migliorarlo, per analizzare il rispettivo impatto sociale e per ottimizzare l’ideazione di nuovi progetti.

Considerazioni per la messa in moto
È noto che molte catene di valore iniziano a tessersi intorno a determinate industrie che operano come “locomotori” dello sviluppo; ma affinché si attivino non si può dipendere esclusivamente dalle forze del mercato. Se una regione ha il potenziale per sviluppare in modo competitivo un determinato prodotto, su una scala sufficiente per trasformarsi in motore trainante di una catena di valore, è responsabilità dello stato mettere in moto i meccanismi affinché tale potenziale addormentato si svegli. Questo significa fornire agli attori sociali informazioni, formazione, finanziamento, politica fiscale e lavorativa, accesso a mercati e tutto ciò che serve a una vera politica di sviluppo.
Si dovrebbero analizzare quindi le potenzialità della regione, tanto per attivare processi produttivi nuovi, quanto per articolare nuove catene di valore associate a processi produttivi esistenti. Quindi si dovrebbe conoscere il campo delle necessità e delle motivazioni degli attori sociali, per potere arrivare a un progetto che si crei su fattori dinamici. Infine, si dovrebbero invitare tali attori sociali a condividere il progetto di sviluppo locale a partire dalla sua genesi, affinché lo facciano proprio. E sono gli stessi attori sociali quelli che a loro volta dovranno chiedere allo stato le politiche necessarie per evitare gli ostacoli, e sono anche quelli che devono assumere il controllo affinché ci sia un’adeguata e trasparente applicazione di tali politiche pubbliche.
E in questa interazione, nella dinamica dell’elaborazione, della messa in moto e del seguimento dei progetti di sviluppo locale, si deve dare l’articolazione efficace tra lo stato e gli attori sociali.

Conclusioni
Se non si modifica la matrice distributiva del capitalismo, il mondo continuerà a subire crisi sempre più profonde ed estese nel tempo, e si perpetuerà l’emarginazione di miliardi di persone. È necessario un nuovo sistema, in cui la priorità non sia la crescita economica, ma lo sviluppo razionale ed equo.

Fonte testo originale in spagnolo
* [http://es.wikipedia.org/wiki/Guillermo_Alejandro_Sullings]

 

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