19 Marzo 2024

Contronarrazione del debito pubblico

In collaborazione con Roberto Innocenti –

Ecco la grande verità universale: il denaro è tutto. Il denaro è governo, è legge, è potere. E’, nel fondo, sopravvivenza. […] La grande maggioranza della gente non vuole questo stato di cose. Ci troviamo allora di fronte alla tirannia del denaro. Una tirannia che non è astratta perché ha un nome, rappresentanti, esecutori e modi di procedere ben definiti.

[…] In ogni caso, un’opera di chiarificazione delle tendenze anti-umaniste più nascoste permetterà a molti umanisti, per così dire ingenui o spontanei, di rivedere le proprie concezioni ed il significato della propria attività sociale.

(Silo – Sesta Lettera ai miei amici – 5 Aprile 1993)

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La narrazione dominante sul debito pubblico ben si presta a questa opera di chiarificazione, necessaria in quanto tale narrazione si avvale di false credenze superate dalla storia umana ma mantenute in vita ad arte per continuare a perpetrare sogni di dominio.

La prima è che il denaro, o la moneta, sia una risorsa limitata, scarsa per natura. E’ dal 1971 che non è più così, e in parte lo era già prima. In quell’anno gli USA decisero di sganciare il dollaro dalle riserve d’oro e, siccome in quel periodo il dollaro era la valuta mondiale di riferimento, anche tutte le altre valute furono “autorizzate” a non rispettare più quella regola. Di fatto oggi la creazione di moneta è potenzialmente illimitata.

La seconda credenza è che lo Stato, come un buon padre di famiglia o un’impresa sana, non debba spendere più di quanto incassi per non andare in perdita e quindi doversi indebitare. Questa credenza è falsa perché uno Stato, stabilendo quale debba essere la moneta legale con la quale pagare le tasse e avendo il monopolio dell’emissione di tale moneta, può permettersi di non doverla chiedere in prestito. Si tratta della sovranità monetaria piena che hanno la maggior parte degli Stati nel mondo. Se ne sono privati quelli che hanno adottato l’euro. Gli Stati dell’eurozona l’hanno in gran parte ceduta ad una banca privata. Tale è la BCE, la Banca Centrale Europea. La capacità di stampare moneta permette agli Stati con sovranità monetaria di stampare quanta moneta necessita per oliare il motore della propria economia, senza dipendere dalle decisioni di politica monetaria di una banca privata.

Altra credenza è che i tassi d’interesse sui prestiti di denaro siano una cosa naturale, influenzati principalmente dal mercato finanziario, cioè dalla legge della domanda e dell’offerta di moneta, come qualsiasi altra merce. Questa fa parte dell’ideologia economica liberista classica, che considera qualsiasi intervento statale nell’economia come il male assoluto.

Con la crisi economica esplosa in seguito alla pandemia del Covid-19, abbiamo visto paesi liberisti come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna intervenire massicciamente e rapidamente immettendo liquidità nell’economia nel tentativo di evitare una crisi come quella del 1929, a dimostrazione di quanto affermato circa la possibilità di creare moneta dal nulla. Cosa che non è avvenuta nell’Unione Europea che si sta muovendo con incertezza, vincolata da regole di rigore economico assurde e paralizzanti, da condizionalità autoritarie e truffaldine, nonostante si stiano profilando scenari economici e sociali poco rassicuranti.

La quantità di moneta in circolazione può essere tenuta sotto controllo dallo Stato con la politica fiscale per evitare l’iperinflazione (rapido ed elevato aumento dei prezzi) o per fermare la deflazione (caduta dei prezzi), come quella che affligge oggi l’eurozona.

L’affermazione del neoliberismo nel mondo occidentale comincia dalla metà degli anni ‘70 del novecento. La finanzia speculativa inizia a prendere il sopravvento sull’economia reale, cioè sulla produzione di beni e servizi.

Nel 1981 il Ministro del Tesoro e il direttore della Banca d’Italia decisero di separare la banca centrale italiana dal Ministero del Tesoro, informando il parlamento della repubblica con una semplice lettera. Fu un’operazione che preparava la privatizzazione della Banca d’Italia e dell’intero sistema bancario italiano.

Fino ad allora il debito pubblico era rimasto sotto controllo e lo Stato italiano, avendo la sovranità monetaria, per finanziare le proprie spese poteva scegliere se emettere nuova moneta, tassare i cittadini e le imprese o indebitarsi chiedendo prestiti tramite l’emissione di Titoli di Stato. Di fatto operava con tutti e tre questi strumenti.

Nel caso dell’emissione di Titoli di Stato a debito, era lo Stato stesso che stabiliva quale fosse il tasso d’interesse che era disposto a pagare. Inoltre era sicuro che i Titoli di Stato sarebbero stati venduti tutti perché c’era sempre pronta la Banca d’Italia a comperare quelli eventualmente invenduti. In quel caso il debito contratto dallo Stato verso la propria banca centrale era un debito fittizio che non sarebbe mai stato necessario onorare.

La separazione del Ministero del Tesoro dalla Banca d’Italia era funzionale al disegno neoliberista di costringere lo Stato italiano a finanziarsi sui mercati speculativi internazionali e propedeutica alla cessione di sovranità monetaria prevista dai successivi trattati che avrebbero istituito l’Unione Europea e l’euro come moneta unica.

Così, a partire dagli anni ‘80 il debito pubblico ha cominciato ad impennarsi (54,6% del PIL nel 1980, 67,4% nel 1983, 91,9% nel 1990, 104,9% nel 2000, 115,4% nel 2010, 132,2% nel 2018), a tutto vantaggio della finanza speculativa e a discapito dei servizi ai cittadini ed alle imprese. Inoltre, col passare degli anni, il debito pubblico italiano ha cominciato a essere detenuto sempre più da soggetti stranieri (dal 4% nel 1988 al 32% nel 2018). La qual cosa fa una certa differenza.

Poco dopo, con la complicità o la sprovvedutezza della classe politica italiana dell’epoca, la sovranità monetaria fu ceduta alla BCE o colpevolmente non utilizzata per quella parte che ancora poteva essere esercitata.

L’Italia è così entrata in un circolo vizioso e perverso. Nonostante la privatizzazione di gran parte del sistema economico pubblico, che nei trentanni successivi alla seconda guerra mondiale aveva contribuito al suo sviluppo e benessere, e le contemporanee politiche neoliberiste di austerità, lo Stato italiano ha continuato a veder crescere il debito pubblico a causa dei tassi d’interesse che non poteva più controllare e delle minori entrate fiscali conseguenti allo spostamento delle sedi legali di molte aziende italiane nei paradisi fiscali, anche europei (Olanda, Lussemburgo, Irlanda). Stato italiano che, nonostante questo, dal 1992, con l’unica eccezione del 2009, incassa dai cittadini e dalle imprese, con le tasse, più di quello che spende per i servizi offerti, un costante avanzo primario che dovrebbe far ricredere chi ancora pensa che il popolo italiano abbia vissuto o viva tuttora al di sopra delle proprie possibilità.

Risultato: cittadini più poveri, servizi più scarsi o inefficienti, speculatori, italiani e stranieri, più ricchi.

Avendo rinunciato alla sovranità monetaria e avendo consegnato il paese nelle mani della speculazione finanziaria internazionale il debito pubblico è diventato un problema. Anche perché, in perfetto stile usuraio, più che puntare a recuperare i crediti attraverso la restituzione dei capitali, gli speculatori puntano ad acquisire, con le privatizzazioni a basso prezzo causa svendita, i beni comuni e le attività economiche rimasti nelle mani dello Stato e delle amministrazioni pubbliche.

Senza considerare tutti questi aspetti è semplicemente demagogico, fuorviante e secondario continuare a credere di risolvere il tema del debito pubblico con maggiori tassazioni (vedi patrimoniale) o con la lotta all’evasione fiscale, di cui si sente parlare da anni senza capire bene di cosa dovrebbe trattarsi concretamente, visto che nessuno mette in discussione la libertà di movimento dei capitali sancita e difesa dai Trattati dell’Unione Europea.

Maggiore tassazione e lotta all’evasione di per sé sono strumenti ambigui perché, invece che redistribuire la ricchezza in maniera più equa, potrebbero essere finalizzati a colpire ancor di più i cittadini meno abbienti, le imprese in difficoltà o la piccola evasione, certamente poca cosa rispetto all’elusione fiscale delle grandi aziende che, approfittando della libertà di movimento dei capitali e dei paradisi fiscali, incide negativamente in modo ben maggiore sul gettito fiscale degli Stati.

Inoltre bisognerebbe definire a priori e vincolare l’impiego dei fondi eventualmente recuperati che altrimenti, ancora una volta, potrebbero finire, tramite il pagamento degli interessi sui prestiti, nelle tasche degli speculatori finanziari piuttosto che per maggiori o migliori servizi ai cittadini.

Che un sistema fiscale più equo sia necessario non ci sono dubbi ma finché non si mette in discussione l’essenza del sistema neoliberista basato sull’usura della finanza speculativa e sulla menzogna della necessità del pareggio di bilancio nei conti dello Stato, non si andrà da nessuna parte, o meglio si andrà verso una catastrofe umana, sociale ed ambientale.

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Se al giorno d’oggi il capitale si va gradualmente trasferendo alla banca, se la banca si va impossessando delle imprese, dei paesi, delle regioni e del mondo, la rivoluzione implica l’appropriarsi della banca per far sì che questa compia la funzione di prestare un servizio senza percepire in cambio interessi che, di per sé, significano usura.

(Silo – Settima lettera ai miei amici – 7 Agosto 1993)

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