7 Settembre 2025

LO “STATO COORDINATORE”  UNA RIVOLUZIONE UMANISTA – Maggio 2025 Simposio CMSU 

Intervento del Partito Umanista (Italia) 

Relatore: Valerio Colombo 

L’attuale situazione di totalitarismo economicista neoliberista sta facendo tornare alla ribalta il tema della sovranità degli Stati, contrapposta al cosmopolitismo della globalizzazione. 

Dobbiamo ricordarci che il concetto di “Stato” come più o meno lo intendiamo oggi è piuttosto recente, in quanto deriva dalla Pace di Vestfalia del 1648, che pose fine a due lunghi ciclici bellici all’interno dell’Europa, definendo la possibilità degli Stati di governare il proprio territorio senza interferenze esterne – soprattutto rispetto all’autorità imperiale – e stabilendo il principio dell’uguaglianza giuridica tra i vari Stati, indipendentemente dalle loro dimensioni o dalla loro potenza. 

Ma quali sono gli strumenti che permettono a ciascuno Stato di esercitare la propria “sovranità” ovverosia la propria autonomia organizzativa e decisionale? 

Innanzitutto, c’è lo strumento giuridico, che permette di stabilire l’ordinamento, il “regolamento” all’interno dei confini dello Stato, con l’istituzione di magistratura e forze dell’ordine che supervisionano il rispetto di tale ordinamento. 

In secondo luogo, c’è lo strumento “monetario” che non va inteso come un mero mezzo di scambio, ma come tutto il sistema istituzionale che regolamenta il funzionamento dell’economia all’interno dello Stato, per esempio definendo il valore o la gratuità di alcuni beni o servizi, il grado di apertura al commercio esterno e le politiche di sviluppo economico. 

Infine, ci sono le Forze Armate (Esercito…) che hanno il compito di difendere lo Stato da eventuali attacchi esterni, ma anche quello di proteggere il “Sovrano” da attacchi interni all’ordinamento (colpi di stato). Ovviamente l’Esercito può avere anche ruoli geopolitici, fino alla possibilità di attacco ad altre entità Statali (ma questo aspetto ovviamente a noi non interessa). 

L’attore principale di tutto questo, è appunto il Sovrano, che ai tempi di Vestfalia era il monarca, assoluto o costituzionale; in seguito, con il processo di democratizzazione, nella maggior parte dei casi si è arrivati alle democrazie rappresentative nelle quali il Sovrano è il “Popolo”, cioè l’insieme dei cittadini dello Stato, che delegano l’esercizio della sovranità  a un organo che essi stessi eleggono. Ad esempio, l’Italia è una democrazia parlamentare in cui appunto il “sovrano delegato” è (dovrebbe essere) il Parlamento.  

Quindi, citando il pofessor Carlo Galli… oggi parlare di sovranità vuol dire parlare di Democrazia, “perché il superamento della sovranità sta avvenendo attraverso l’imposizione dall’esterno di un paradigma politico-economico-sociale-antipopolare, deflattivo, tecnocratico. Perché l’esercizio democratico della sovranità è l’unico modo per riportare queste dinamiche sotto il controllo dei cittadini..”1 

Dal nostro punto di vista, ovviamente, quella da rivendicare è la sovranità popolare, che al momento attuale ha la possibilità di manifestarsi esclusivamente all’interno degli Stati. Infatti è soltanto all’interno di ciascuno Stato che il popolo può essere sovrano, mediante l’elezione dei propri rappresentanti. Il Parlamento Europeo apparentemente amplierebbe questa prerogativa anche al di fuori dei confini dei singoli Stati, ma questo non corrisponde alla realtà perché il Parlamento Europeo non ha il pieno potere di legiferare.   

Vorrei fare una breve digressione su alcuni aspetti degli strumenti di esercizio della sovranità che potrebbero sembrare contro intuitivi. 

Per quanto riguarda la moneta, per esempio, l’istituzione di una valuta con cui è obbligatorio pagare tasse e tributi, con potenza di risoluzione dei debiti e il controllo della sua emissione sono il punto di partenza affinché uno Stato possa regolamentare internamente la propria economia, per esempio decidendo di istituire un regime di economia mista e di intervento diretto dello Stato in questioni economiche di interesse pubblico (per esempio l’agricoltura o industrie strategiche). 

Per fare un altro esempio l’istituzione di monete locali con corso legale – cosa che solo chi ha la sovranità monetaria può fare – potrebbe essere impiegata per favorire lo sviluppo dell’economia a livello territoriale. 

Inoltre il “corso legale” della moneta, cioè l’obbligo di usare quella valuta per pagare tasse e tributi, serve appunto ad evitare, attraverso la tassazione o altri strumenti giuridici, concentrazioni eccessive di potere economico in mano a privati, che possano distorcere il processo democratico.  

Il fatto di considerare la moneta come mero mezzo di scambio commerciale “neutro” è un inganno figlio del mercatismo neoliberista che ci ha pervasi con la globalizzazione. 

Togliere a uno Stato la possibilità di fare tutto questo (per esempio istituendo l’indipendenza della Banca Centrale, come è successo da noi nel 1981 o addirittura delegandolo a un organismo sovranazionale, come abbiamo poi fatto con la BCE) significa togliere al “Sovrano”, che nel nostro caso sarebbe il Popolo, un potente aspetto della sovranità – ovverosia operare sul conflitto distributivo. 

Veniamo alle Forze Armate: per chiarire che l’esercito potrebbe non essere soltanto un “male necessario” votato alla difesa dall’esterno, vorrei mettere in evidenza alcune riflessioni fatte da Mario Rodriguez Cobos (Silo), il fondatore del Movimento Umanista, rispetto al ruolo che dovrebbe avere l’esercito proprio nel difendere un processo rivoluzionario di emancipazione popolare… 

Citazioni da “Lettere ai Miei Amici” di Silo 

LETTERA 8 – La posizione delle Forze Armate nel Processo Rivoluzionario (par. 8) 

“Si suppone che in una democrazia il potere provenga dalla sovranità popolare. Tanto la conformazione dello Stato quanto quella degli organismi che da esso dipendono derivano dalla stessa fonte. Così l’esercito svolge la funzione, che gli è attribuita dallo Stato, di difendere la sovranità di un paese e di dare sicurezza ai suoi abitanti. Possono evidentemente verificarsi delle aberrazioni nel caso in cui l’esercito o una fazione occupino illegalmente il potere […]. Ma, come s’è già detto, potrebbe verificarsi il caso estremo in cui un popolo decida di cambiare il tipo di Stato e di leggi, vale a dire, il tipo di sistema. Spetterebbe al popolo farlo, non potendo esistere una struttura statale ed un sistema legale al di sopra di tale livello di decisione […]. In una circostanza di questo genere, esaurite tutte le risorse civili, è dovere dell’esercito soddisfare la volontà di cambiamento allontanando la fazione che si trova al potere (peraltro illegalmente) dalla gestione della cosa pubblica. Grazie all’intervento militare, si creerebbero le condizioni rivoluzionarie che permetterebbero al popolo di dar vita ad un nuovo tipo di organizzazione sociale e ad un nuovo regime giuridico.  

 Silo, in un altro passaggio dello stesso testo, afferma: “Per questa via potrebbe verificarsi un cambiamento rivoluzionario grazie al quale la democrazia formale verrebbe sostituita dalla democrazia reale. 

 Infatti, per quanto sicuramente nella seconda metà del XX secolo ci sia stato un netto avanzamento nella “democratizzazione”, parlare di democrazia reale non è auspicare il “ritorno a qualcosa che prima c’era”: dopo la II guerra mondiale è stata promessa la democrazia, ma la promessa non è mai stata davvero mantenuta. 

Il processo di democratizzazione ha avuto un forte arresto a partire dagli anni ’70. La feroce controrivoluzione del neoliberismo nella parte a occidente della Cortina di Ferro ha permesso agli agenti del potere economico sovranazionale di impossessarsi gradualmente del potere degli Stati, riducendoli infine ad una sorta di parastato-transnazionale in mano ai poteri della Globalizzazione. Con la caduta del muro di Berlino tale processo si è accelerato: la fine del XX secolo è stata contraddistinta da un processo di apparente trionfo del neoliberismo come manifestazione più estrema di quel capitalismo che, dopo aver lottato per quasi due secoli con l’antagonista socialista, ha finito, almeno apparentemente, per prevalere in modo definitivo. 

Ed eccoci dopo altri 30 anni alla caotica situazione attuale, dominata tra l’altro dal tecno-feudalesimo e dal capitalismo della sorveglianza, in cui al parastato si sono aggiunti soggetti geopolitici privati così potenti da poter competere con gli Stati, detenendone molte delle infrastrutture chiave. La post-democrazia degli anni ‘10 di questo secolo si sta trasformando in una sorta di medioevo multipolare in cui i popoli assistono attoniti e quasi del tutto impotenti a scenari molto inquietanti. 

La disuguaglianza sta superando i livelli precedenti all’inizio della rivoluzione industriale, la speculazione finanziaria fuori controllo domina gli apparati internazionali costituendosi come un parastato dittatoriale e le forze economiche produttive, mosse solo dall’aumento del profitto, spingono verso il collasso ecologico del pianeta… Per non parlare dell’impatto sociale che potrà avere la rivoluzione tecnologica dell’intelligenza artificiale se lasciata solo in mano al mercato. 

È quindi evidente che è più che mai necessaria una forma di organizzazione della collettività che permetta di riprendere in mano le redini giuridiche ed esecutive. Se è vero che non sembrano esserci alternative se non quella di ripartire dalla sovranità degli stati nazionali, che sono attualmente l’unica entità con caratteristiche minimamente democratiche che possano contrastare il parastato globalista, è opportuno riflettere su quali siano gli elementi adatti alla situazione del XXI secolo che debbano essere al più presto iniettati in queste organizzazioni politiche e giuridiche per creare le condizioni per l’ottenimento, per la prima volta nella storia, della vera sovranità popolare. 

Sicuramente possiamo trovare nelle costituzioni della II metà del XX secolo, in primis in quella Italiana, e nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, i semi che, se sviluppati opportunamente, possono far partire questo processo di riscossa della collettività: la sovranità deve appartenere davvero al popolo e gli Stati, anche per mezzo di relazioni solidali tra di loro, devono avere il compito di contrastare le concentrazioni di potere che impediscono ai popoli di esercitare il controllo delle democrazie. 

La nostra aspirazione è quella di arrivare a uno “Stato Coordinatore” che possa configurarsi come una vera intelligenza collettiva, partecipata direttamente da tutti, in una democrazia articolata in modo complesso, con meccanismi di democrazia diretta, partecipata e rappresentativa che possano costituire una Democrazia Reale. 

Il modello dello Stato Coordinatore è quello di uno Stato fortemente decentrato, la cui organizzazione abbia come base le comunità locali di cittadini che possano autodeterminarsi, secondo un modello che contempli l’elezione di rappresentanti con vincolo di mandato (cioè con la possibilità da parte degli elettori di sfiduciarli), ma che includa anche meccanismi di consultazione continua dei cittadini (democrazia partecipativa) e permetta loro di operare direttamente scelte vincolanti sulle questioni più importanti (democrazia diretta). 

Si tratta di un modello in cui lo Stato, in quanto strumento di autoregolazione della comunità nei suoi vari livelli, possa coordinare anche il mercato e i suoi attori, abbattendo le asimmetrie informative, intervenendo come imprenditore laddove sia necessario e definendo e regolando un’articolazione diffusa del concetto di proprietà, che non escluda forme di proprietà privata e neanche il capitale come elemento dell’economia, ma le normi in modo tale che non siano prevalenti rispetto all’interesse comune.  

A livello esemplificativo esistono alcuni tentativi di formulare modelli di questo tipo, tra cui quello esposto nel libro “Oltre il Capitalismo – Economia Mista” del 1999 del  nostro amico economista argentino Guillermo Sullings. Oppure nel libro “l’altra moneta” del 2019 di Nino Galloni o il modello di “Libertalia” congeniato da Ernesto Screpanti nel suo “Liberazione: il movimento reale che abolisce lo stato di cose esistente” del 2023. 

Ora vorrei però soffermarmi su un punto importante… si tratta sempre di ipotesi che possono semplicemente stimolare un’ideazione collettiva di un punto di arrivo e di un percorso per raggiungerlo.  

Infatti, per passare dalla Democrazia Formale alla Democrazia Reale non basta un cambio di “sistema operativo giuridico” senza un cambio di paradigma, e un vero cambio di paradigma non può che partire da un processo di ideazione collettivo.  

Requisito indispensabile per mettere in moto tale processo è l’accesso gratuito e illimitato all’informazione e a strumenti di formazione e autoformazione permanente. 

Ancor di più! Occorre un cambio di passo in ciascuno di noi nella nostra relazione con lo Stato: se vogliamo davvero pretendere di incidere “da sovrani” dobbiamo iniziare a entrare nell’ottica di esserlo, e per farlo è indispensabile un processo di autoformazione permanente di comunità di individui che “studino” e poi agiscano per diventare davvero potenziali “sovrani popolari”.  

Il tempo dedicato all’autoformazione dovrebbe essere considerato un diritto riconosciuto a livello giuridico e agevolato in ogni modo possibile, anche retribuendolo. Si tratta di un’attività che andrebbe favorita soprattutto come lavoro di gruppo. 

Per finire ho preso spunto da un vecchio appello che avevamo scritto nel 2012 nel momento di esplosione della crisi di allora in Italia e in Europa. 

Dobbiamo uscire dall’atteggiamento passivo in cui si aspetta che sia qualcun altro a occuparsi della situazione. 
Non possiamo più permetterci di credere che ci sia sempre qualcuno più preparato, più intelligente o semplicemente “più in alto” che debba o possa prendere le decisioni per noi. 

 
Non possiamo più permetterci di pensare che siano solo quelli “eletti perché votati” ad avere questo compito. Soprattutto perché è ormai evidente che il gioco elettorale della democrazia rappresentativa è viziato nelle sue fondamenta.  

Noi del popolo siamo trattati come bambini a cui nascondere le verità che non siamo in grado di comprendere. Il fatto che si possa essere noi a prendere direttamente le decisioni non è neanche all’orizzonte; ma siamo sicuri che non sia fattibile? 
Si tratta di capire che siamo tutti responsabili e che, se non ci lasciano operare in modo attivo tale “responsabilità”, se non ci lasciano decidere direttamente per il nostro futuro, allora dobbiamo pretendere di poterlo fare. 
Il livello di istruzione delle generazioni attuali è unico nella storia. È arrivata l’ora di usare questa condizione e anche di migliorarla. 
Non possiamo davvero più firmare assegni in bianco. O vogliamo permettere che tanti millenni di storia umana si riducano a una bancarotta di popoli composti da consumatori indebitati e schiavi delle banche? 
 

L’appello più importante è che tutti si “facciano carico” della costruzione di un’intelligenza collettiva e attiva, che possa dare risposte di tipo nuovo. Che nessuno si aspetti una ricetta che arrivi dall’alto, ma che si sforzi per costruirla insieme ad altri. 
È a partire da questo sforzo che potremo pretendere urgentemente l’istituzione della pratica della DemocraziaReale, in cui le decisioni importanti siano prese consultando direttamente e in modo vincolante la popolazione
È un’utopia? 


Il 4 maggio del 2004 Silo affermò  “…i popoli sperimenteranno un desiderio crescente di progresso per tutti, comprendendo che il progresso per pochi finisce con il progresso per nessuno…” 

 E l’anno dopo aggiunse “…In alcuni momenti della storia si leva un clamore, una straziante richiesta degli individui e dei popoli. Allora, dal Profondo arriva un segnale.  Magari questo segnale fosse tradotto con bontà nei tempi che corrono, fosse tradotto per superare il dolore e la sofferenza. Perché dietro questo segnale stanno soffiando i venti del grande cambiamento. 
Quando, molti anni fa, annunciavamo la caduta di un sistema molti si burlavano di ciò che per loro era impossibile. Mezzo mondo, mezzo sistema che si supponeva monolitico è crollato. 
Però quel mondo che è caduto lo ha fatto senza violenza e ha mostrato le cose buone che c’erano nella gente. Inoltre, prima che scomparisse, da quel mondo si è propiziato il disarmo e si è cominciato a lavorare seriamente per la pace. E non c’è stata nessuna Apocalisse. Il sistema è crollato in metà pianeta e, a parte le difficoltà economiche e la riorganizzazione delle strutture che la popolazione ha subito, non ci sono state tragedie, né persecuzioni né genocidi. Come avverrà la caduta nell’altra metà del mondo? Che la risposta al clamore dei popoli sia tradotta con bontà, sia tradotta nella direzione di superare il dolore e la sofferenza. 
 
Come umanisti pensiamo che, se veramente si vuole dare una risposta alla crisi, questa risposta può partire solo dal ricorrere a quanto più forte e grande c’è in ognuno di noi. 

Stiamo parlando appunto di una vera e propria rivoluzione copernicana nel concetto stesso di Stato, in quanto stabilirebbe per la prima volta in modo pratico la sovranità diretta dei Popoli attraverso le metodologie che abbiamo chiamato prima “democrazia reale”. Questo richiederà forme organizzative estremamente complesse e raffinate, ma soprattutto richiederà che gli individui scelgano di operare anche una rivoluzione interna che metta profondamente in discussione i valori su cui si fonda il paradigma attuale; sarà necessario mettere in discussione la necessità della violenza intesa come proiezione intenzionale di un essere umano su un altro, per riuscire a far emergere in modo armonico l’intelligenza collettiva – oserei dire autopoietica, di autoorganizzazione di tipo caotico – che costituirà lo Stato Coordinatore. 

In sostanza si tratta di una rivoluzione sociale che ha bisogno che nuovi umanesimi si diffondano in tutti i campi dell’esistenza umana. 

Nel nostro piccolo stiamo costituendo dei gruppi di “resistenza cognitiva” che praticano alla base questo tipo di auto formazione permanente, cercando di affrontare senza censure tutti i temi che ci sembrano impattanti, nello sforzo di dimostrare che sia possibile fare questo lavoro a partire dalla base, a partire da cittadini comuni – quali siamo noi – che iniziano questo processo collettivo e che propongono ad altri di aggiungersi formando piccole comunità che costituendosi in rete possano cominciare a costruire nuove realtà sociali che vadano a compensare il vuoto lasciato dal collasso dei vecchi corpi intermedi – come per esempio i partiti e i sindacati – e costituendo quindi un nuovo soggetto collettivo, comunitario e plurale, che possa fare da motore verso la rivoluzione dello Stato Coordinatore. 

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